Dall’omonima opera di Jane Connerth – CANOVA Editore
Drammaturgia e Regia
Roberto Cuppone
Scene: STEFANO MERLO
Costumi: ANTONIA MUNARETTI
Costruzioni sceniche: REMIGIO BIRAL
Operatore Luci: LUPO CALABRETTO
Scelte musicali: CUPPONE-BIRAL
L’umanità contadina veneta della prima metà del secolo scorso nelle memorie di un medico di campagna
Un dotorìn rumeno, un sìngano, uno de noialtri, resta tajà fora dala guera e verse un ambulatorio nelle campagne fra Venezia e Treviso, ‘a terra goldoniana dea “villeggiatura” – ma da la parte de chi che la sapa. El parla talian tanto quanto quei che va da lu, cioè gnente; e alora ghe xe da domandar (ce naiba!, cossa xe el “molton”, el “baco”, ‘e “brochete”, ‘a “rafa”, ‘e “ferse”), da ridar (“Dotor, so drio spetar…”, “Ecco brava aspetti il suo turno”) o da pianzer (“tompinara” o carcinoma, n’importa ‘a tradussion). Ma el dotorìn xe de quei che no mola: dal ‘48 al ‘58, dal casin dee bombe al boom dei schei, diese ani de vita, diese franchi de aqua de spasemo no se nega a nessun: placebo, plăcere, piaser al Signor. E dimostra che ale volte essar straniero vol dir aver pi rece per scoltar.
In una stalla adibita ad ambulatorio di fortuna – un scalon da bruscar come attaccapanni, una bunela come lettino e nell’angolo un scagnel da monzar – quattro personaggi di quella remota campagna veneta, così lontana eppure per noi ancora così vicina, bussano alla “nuova” scienza, confrontano antiche rassegnazioni con nuovi rimedi. Quattro vinti dalla storia, Campanèr e Sante, Mercede e Cristiàn, mezzo secolo dopo restituiscono a quel dottorino coraggioso, simbolicamente fuori scena, la loro lezione di ignorante saggezza.
Come si fa a non capire – sembra chiedersi Campanèr – che dare ai mali nomi di animali è naturale, è il primo modo di conviverci, di farsene una ragione, per chi, come un contadino, fa una vita da bestie?
Come fa un dottore, uno scienziato, a non conoscere l’araldica dei Santi Ausiliatori – si domanda Sante – quattordici custodi che da secoli offrono il rimedio più sicuro per ogni malattia: la fede?
Come si può opporsi alla contabilità naturale delle vite date e delle vite rese, se il dodicesimo figlio può essere l’ultimo per Mercede, alla sua età, è segno che così vuole il Signore?
E dunque, conclude Cristiàn, cosa curare e soprattutto perché, se tutto per tutti, bestie e cristiani, è già segnato sul calendario, come le stagioni e i lavori dei campi?
Se poi – grazie al gioco del teatro – che resuscita questa cultura estinta (appena ieri) la confrontiamo con quella che l’ha sostituita oggi, quella medicina anonima che per curare i mali rischia di non curare gli ammalati, allora non si sa più quale delle due ci sembri più lontana.
Non si sa più se ridere o piangere. R.C.
Mardegan si fa in quattro per quei “diese franchi” in un Veneto ancestrale
Il Veneto che fu con il rustico “profeta” Mardegan